Arnaldo Caprai, non solo Sagrantino, ma anche Metodo Classico
di Giovanna Moldenhauer
La storia della cantina Caprai inizia più di 50 anni fa, nel 1971, quando Arnaldo Caprai, Cavaliere del Lavoro per Meriti in Agricoltura, decide di investire nella produzione di vino a Montefalco acquistando i primi quarantacinque ettari di terreno. Nel 1988 la conduzione aziendale passa nelle mani del figlio Marco che con grande passione coinvolge l’Università di Milano in un progetto di ricerca per la valorizzazione del Sagrantino, vitigno autoctono del territorio dalle enormi potenzialità qualitative, ma allora incompreso visto la sua ingombrante tannicità
Proseguendo nel tracciare una breve panoramica di quegli anni Marco, con l’obiettivo della valorizzazione della viticoltura dell’Umbria ha messo in evidenza anche le varietà bianche, primo fra tutte il Grechetto, l’uva bianca simbolo della regione in quelli anni, producendo il Grecante dal 1989, proseguendo poi nei decenni successivi con altri bianchi da monovitigno e con la Cuvée Secrète.
A queste etichette e alle diverse espressioni del Sagrantino si aggiunge, dal 2016, anche un Metodo Classico Brut, tutt’altro che l’ennesimo esercizio di stile dettato da obiettivi commerciali. Innanzi tutto perché i primi ettari di vigneti, dedicati alla produzione del Metodo Classico Brut Arnaldo Caprai non sono degli ettari qualsiasi. Il progetto, infatti, nasce dall’idea, nata 10 anni fa, di riambientare all’interno di un’area estrattiva mineraria della famiglia Colaiacovo, dislocata verso la dorsale appenninica marchigiana nei pressi di Gubbio, una porzione di terra che trae giovamento dell’influenza del mare, a una quota compresa tra i 700 e gli 850 metri di altitudine. Queste altitudini ci racconta Marco durante il nostro ultimo incontro, “hanno delle curve di temperature (differenze tra notte e giorno, ndr) come nella regione dello Champagne in Francia”. Un progetto quindi di valorizzazione delle aree interne dell’Appennino tra Umbria e Marche dove, a seguito dei terremoti che le hanno colpite, è in atto un vero e proprio spopolamento che si può combattere solo con nuovi progetti di valorizzazione.
È qui quindi che Marco Caprai, dopo attenti studi e analisi, ha deciso di impiantare Pinot Nero e Chardonnay, con vigneti esposti a Sud, per cominciare a produrre il suo primo Metodo Classico. Queste bollicine che restano ad affinare sui lieviti per almeno 20 mesi sono state realizzate inizialmente con 50% Pinot Nero, 50% Chardonnay a partire dalla vendemmia 2016, mentre ora è solo da Pinot Nero, classificato come Metodo Classico Brut VSQ.
Al primo Metodo Classico Brut si è affiancato nel tempo la versione rosé Plus Noir da solo Pinot Nero con un affinamento sui lieviti per almeno 20 mesi. Quest’ultimo è classificato come Metodo Classico Brut Plus Noir VSQ avendo un dosaggio di 4,5 grammi litro.
Li abbiamo assaggiati entrambi ottenuti dalla vendemmia 2019 e ve li raccontiamo.
Il Brut esordisce nel calice con un giallo paglierino, dal perlage fine e persistente. Il naso passa prima dalle note fruttate di mela, poi di fiori bianchi, con fragranza di lievito. All’assaggio è fresco, armonico ed equilibrato.
Il Plus Noir ha invece una tonalità che ricorda i fiori di pesco, data da una breve macerazione con le bucce del Pinot Nero, con bollicine fini e persistenti. Ha un bouquet dalle note floreali, minerali, con a chiudere fragranze di crosta di pane. In bocca è cremoso, fresco, armonico, dalla persistente mineralità.
Entrambi, nati da un progetto con il cuore buono, dimostrano stoffa e classe che li porta, a nostro avviso, a competere assolutamente alla pari con molti altri Metodo Classico italiani di più lunga esperienza e notorietà.
Photo @ Arnaldo Caprai