Tra manualità e automazione: i rischi del tutto subito
di Erika Mantovan
Anche nel settore del vino lo sviluppo tecnologico ha contribuito a migliorare i processi, ad accelerarli;
nella produzione del Metodo classico ha però portato ad alterare la figura del remueur.
Il responsabile di quella che se potrebbe sembrare come una pittoresca ma originale operazione manuale, consiste nel girare di 1/8 o di 1/4 di giro, verso sinistra o destra la bottiglia che, così facendo, da orizzontale passa in posizione verticale. I sedimenti (coadiuvanti e lieviti) che si formano con la seconda fermentazione si accumulano nel collo della bottiglia per essere eliminati con la sboccatura (dégorgement).
Un’attività nata nel 1864
con la costruzione del signor Michelot, che depositò il brevetto della pupitre, così come la conosciamo oggi: in grado di ospitare 120 bottiglie. Una struttura adottata da tutte le Maison, simbolo di un modello produttivo e del remueur, un professionista che gira 75.000-80.000 bottiglie al giorno e porta la bottiglia a 60 gradi in 25-30 giorni.
Che questa fase del Metodo classico sia sempre stata oggetto di evoluzione, è provato dal fatto che, in origine, le bottiglie venivano capovolte e immerse nella sabbia. Solo successivamente, la fine dell’impero napoleonico e l’incremento della domanda di Champagne, costrinse a organizzare e velocizzare i sistemi produttivi. Ci si ingegnò con un primo tavolo da cucina con dei fori obliqui prima di arrivare alle pupitre di Michelot.
L’automazione di questa pratica ancestrale oltre a essere un continuo oggetto di studio ha sempre il medesimo obiettivo: assicurare uno spumante limpido.
Il processo che ha portato alla meccanizzazione è iniziato nel 1920 con la comparsa di un primo sistema a pedale, presto abbandonato per le continue disfunzioni; dopo fallimentari progetti degli anni sessanta è solo nel 1972 con Chamaprex che si inizia a delineare una nuova strada: non pensare al remuage della singola unità ma di un intero gruppo di bottiglie annidate tra loro.
L’anno successivo, da una collaborazione di Claude Cazals e Jacques Ducoin, nascerà il giropallet: un’invenzione che cambierà il destino delle pupitre per sempre.
La capacità di ogni gabbia è di 504 bottiglie, i suoi movimenti, programmabili, le conducono in punta in 3-4 giorni. Un bel risparmio di tempo e di spazio, che non inficia la qualità del vino.
Per cantine di media produzione è un elemento imprescindibile.
Il remuage manuale
Il remuage manuale appare allora come un retaggio storico da sfoggiare per gli avventori nelle cantine? No, tenuto conto che molti sono i piccoli vigneron i quali, vista l’esigua quantità di bottiglie prodotte, restano fedeli alle pupitre. E non solo per motivi di marketing, ma per una tradizione che alimenta il mito dello Champagne, del Metodo classico, e che tutt’oggi è attivo anche in storiche Maison di Reims, che prediligono il remuage manuale per la produzione delle loro cuvée de prestige anche su produzioni che sfiorano le cinquecentomila bottiglie.
La ricerca dell’automazione potrebbe essere la soluzione pratica al diffondersi di danni al polso (come la sindrome del tunnel carpale o di De Quervain) ma non ci sono tracce sulla diffusione di queste malattie a metà Ottocento. Viene da pensare allora che sia stato il consumismo ad aver gradualmente traghettato il mondo delle bollicine a questa pratica e soluzione. L’uomo si limita a impostare la macchina e ne controlla il funzionamento: un atteggiamento passivo e freddo rispetto a chi sceglie di impegnarsi in prima persona alla definizione di un prodotto. Scelte. Non sono le tre settimane in più di lavoro, tra macchina e uomo, a incidere sul fattore tempo necessario alla realizzazione della bottiglia, quanto piuttosto il quantitativo di bottiglie che l’azienda sceglie di produrre. In quantità costanti, da decadi, o marginalmente crescenti, alla rincorsa di un mercato esigente e sempre più veloce, attaccato alla performance del bicchiere.
Del tutto e subito.
Ecco che, al netto dei volumi, il remuage è la tutela di un aspetto più romantico della produzione del Metodo classico: sottolinea un’arte, un mestiere, che ammette errori