Davide Feresin
Di Stefano Cosma
Arrivare a San Quirino, frazione di Cormòns, è sempre un’emozione per me, dovuta alle mie letture del passato, ma soprattutto nel passato. Mi riferisco a quando effettuavo ricerche nell’archivio Formentini, leggendo missive e registri contabili dell’Ottocento in cui figurava la località di San Quirino. Non era un retaggio di antiche proprietà di origine feudale e nemmeno il frutto di ricche doti, ma un acquisto che i fratelli Giuseppe Floriano ed Emilio Formentini avevano fatto intorno al 1860. Davide Feresin sa che conosco la storia della sua azienda, dei vigneti e della casa padronale in cui vive. Perciò mi interroga, e io cercherò di fornirgli qualche informazione inedita. La prima risale al lontano 1784-85, quando il governo austriaco fece realizzare una dettagliata mappa militare acquarellata dei suoi dominii. A occidente della cittadina di Cormòns, è scritto Casa di Sct: Quirino e un po’ più sopra Sct: Quirino, vicino all’omonima chiesetta. Ciò che fa più piacere a Davide, il cui bisnonno ha comprato la proprietà negli anni cinquanta, è che sia la casa sia la chiesetta erano già all’epoca circondate da prati con vigne e da frutteti con vigne. Molto probabilmente il nome “Cormons Vignali”, che troviamo nella miglior categoria della classificazione dei vini del 1787, stava a indicare proprio questi vigneti: un cru, diremmo oggi.
Dopo aver ammirato dall’esterno la vecchia villa, con annesso il piccolo borgo, Davide ci fa accomodare e ci fa provare il suo Pinot Grigio Ramato, doc Friuli Isonzo, del 2020: una vera chicca! Fino a pochi anni fa, trovavamo solo Pinot Grigio dal colore limpido, trasparente, ma l’autentico Pinot Grigio dev’essere color buccia di cipolla o cupreo, come dicevano un tempo. Questo perché dalla spremitura di uve che sono una mutazione genetica del pinot nero si ottiene un vino dal colore decisamente carico. Si sta tornando alle vecchie tradizioni e Davide lo fa con naturalezza. Sembra cucito a misura per lui il motto che sta scolpito nella chiesetta di San Quirino: “Né m’alzo per orgoglio, né m’abbasso per dolor”. È un amante autentico della natura, che osserva e da cui impara molto. A proposito del tocai friulano, ci racconta di aver piantato barbatelle ottenute dalle marze provenienti da una pianta di oltre un secolo che aveva a Giassico, sempre frazione di Cormòns. “Attraverso i pomodori dell’orto ho visto che non servivano trattamenti e così ho fatto anche nel vigneto”, ci racconta, mentre la moglie affetta prosciutto e salame di Teor, oltre a pane e formaggio. È il nostro pranzo rurale! Ma lo scopriremo un’ora dopo, trovando chiuse (di lunedì) trattorie e osterie. Intanto, sta stappando un’etichetta particolare, il Nero di Botte, con la caricatura dei coniugi Feresin, entrambi con un occhio nero. Le botte non se le son date per davvero, ma vuole ricordare le discussioni, “le battaglie di tutti i giorni per riuscire nelle proprie imprese e anche ironizzare sull’eccessiva seriosità del nostro ambiente – ci spiega – , perché una bottiglia di vino difficilmente ti salva la vita, semmai te la rende più piacevole”. Il vino è un Refosco dal Peduncolo Rosso 2016, proveniente dai vigneti che sorgono accanto all’azienda. Chissà, mi chiedo, se il Refosco mandato dal barone Formentini a Vienna nel 1861, all’Esposizione di frutta, ortaggi e vini, non provenisse proprio da San Quirino.
Qui i terreni sono più vocati per i rossi di quelli di San Floriano; infatti, è un ottimo prodotto, affinato per due anni e mezzo in tonneaux e poi in barrique. Elegante, speziato al naso, morbido e potente in bocca. Infine, quando le fette di salame e di formaggio stanno terminando, ci offre un Merlot. Un Merlot giovane, dice Davide, un 2023! Eppure ci sembra già strutturato, quasi maturo. Lo beviamo con piacere, convergiamo sul fatto che in Friuli il Merlot venga buonissimo e non sentiamo nemmeno l’alto grado alcolico, ma gli crediamo sulla parola. In effetti, aggiungo io, questa zona è stata oggetto di molte attenzioni nella seconda metà dell’Ottocento. Carlo Colombicchio, un cormonese fautore della riforma agricola e colonica, nel 1872 segnalava: “a proposito di associazione per la Vigna, che esiste in Cormons, e precisamente fra lo Stabile d’Angoris e S. Quirino, una estensione di terreni poco favorevoli per la coltura di cereali […] da ridursi a vigna, di circa 40 a 50 campi per cadauno, ed a piccolissima distanza l’uno dall’altro”. Lui per primo era disposto a cedere ai coloni 20 campi, senza pretendere alcun dividendo per otto anni, e invitava i “fratelli Baroni Formentini” a fare lo stesso. Qualche anno dopo avrebbe piantato proprio le varietà autoctone e d’oltralpe per dimostrare “le speciali qualità delle uve nostrane e forestiere che meriterebbero estendersi in grandi proporzioni sul nostro suolo”. Aveva ragione, e Davide Feresin lo dimostra tuttora coi suoi vini!