Ultimamente mi sto interrogando su quale sia il mio ruolo all’interno del mondo del vino italiano, arrivando persino a pensare che tutto ciò che ho fatto non possa considerarlo un valore aggiunto per quell’insieme di soggetti che compongono l’insieme del sistema vitivinicolo.
Pensavo che gli anni trascorsi a raccontare eventi e storie avrebbero, prima o poi, dato impulso, acceso una piccola fiammella e insegnato qualcosa a qualcuno. Invece tutto sembra immutato, anzi – ancor peggio – immutabile.
Quel mio continuo peregrinare con le parole intorno alla memoria e alla cultura del vino, narrandone il divenire, ho il dubbio che non abbia aggiunto o tolto qualcosa a quel mondo, che invece continua ad agire come se nulla si fosse modificato in questi anni, come se il mercato e il consumatore fossero gli stessi di qualche decennio addietro.
Le mie sono riflessioni lontane da qualsiasi crisi di identità come scrittore.
Come Pollicino però, ogni tanto, avendo messo in fila come tanti sassolini i miei numerosi libri sul vino, ripercorro la strada fatta per ricordare da dove sono partito e comprendere i dubbi che mi hanno accompagnato in questo viaggio, compreso il rapporto tra gli stessi “attori” da me narrati e l’evoluzione del “narratore” che sono.
Ogni tanto mi siedo e questo mi serve per accorgermi che lo “storytelling” che mi inventai trent’anni addietro ha fatto proseliti diventando una chiave di lettura del mondo del vino, pur con deviazioni commerciali spudoratamente ricche di menzogne. E allora mi domando se la lucida narrativa e quell’intellettualmente corretto che mi ha sempre contraddistinto abbia ancora un senso agli occhi degli stessi imprenditori vitivinicoli italiani che ho narrato, dato che sembrano sempre più rifuggire da qualsiasi coscienza critica che travalichi il loro vino.
Il modo del vino – Non è cambiato nulla.
Già! Non è cambiato nulla. Il focus è sempre quello: il vino. Non vanno oltre a quel prodotto e al contenitore che lo conserva. Ma perché dico questo? Perché qualche settimana addietro entrando in una nota cantina piemontese ho scoperto una cosa meravigliosa: in Italia, oggi, ci sono più Guide sul vino che giornali o magazine che giornalisticamente e criticamente ne valorizzino i contenuti. Mettendole una sopra l’altra, ho raggiunto quasi i settanta centimetri di “bugiardini” sul vino: guide tutte uguali, visto che alcune – anzi tante! – riportano i nomi delle solite aziende.
Ma c’è una cosa che mi sorprende ancora di più:
tutte, per perseveranza o sadismo, danno ancora i voti ai diversi vini, elencandoli e descrivendoli con un linguaggio dal quale la lingua italiana non di rado si dissocia. Non volevo credere che ancora oggi esistesse un masochismo così viscerale fra i produttori vitivinicoli italiani.
Pensavo che in molti ritenessero quegli abbecedari enoici poco proficui per la loro immagine. Forse qualcuno di voi penserà che, piuttosto dell’anonimato, è meglio piuttosto. Come darvi torto, visto che questo, in parte, è anche vero?
Per me, però, la cultura è un’altra cosa.
Voi che leggete Bubble’s, che avete capito di trovarvi di fronte a un magazine diverso, pensate davvero che all’impiegato del catasto o al messo del tribunale di Vercelli possano interessare quelle pagine gialle? Secondo voi quei soggetti, potenzialmente vostri amici, spenderebbero venti o trenta euro per comprare una guida sui vini? Ho la certezza che se ne “strabattano”, perché, per quelle persone, il vino è un’altra cosa.
Una delle verità è che al mondo del vino piace parlarsi addosso e specchiarsi, raccontandosi chi ce l’ha più lungo.
Voi, cari lettori di Bubble’s, siete persone pensanti e se non vi soffermerete sul contenuto di quelle guide, ma andrete ad analizzare il valore economico che esse rappresentano per chi le realizza, capirete bene quale sia il volano che alimenta un simile e inutile spreco di carta.
Uno spreco di carta
che produce strumenti pericolosi e fuorvianti, non per il lettore, ma per la mente di alcuni produttori che si sono creati, grazie ai giudizi riportati su quelle guide, meccanismi di autocelebrazione tanto contorti da arrivare a ritenere che in questo modo la propria azienda e il proprio vino sia al centro del tavolo del cenacolo divino. Non me ne vogliano le redazioni e i direttori di tutte quelle guide, che conosco molto bene e rispetto come professionisti.
Mi piacerebbe dirvi altre cose, ma mi tocca dar loro ragione, dato che il mondo del vino vuole proprio ciò che voi fate. Perché, dunque, non dovreste assecondare quel bisogno arcaico e primario che i vignaioli ancora hanno? Le mie domande e le riflessioni iniziali nascono, però, da una coscienza critica diversa.
Una coscienza che si è mossa, in tutti questi anni, per dire e fare cose diverse nell’ambito della comunicazione del vino italiano, cercando di guardare con occhi distanti ma vicini, esterni ma competenti, il sistema vino, ponendomi domande, dubbi e sollevando critiche, come ho fatto ora. Non senza sperare di riuscire a incidere su un mondo che amo.
E se ho cercato con tutte le mie forze di evitare il rischio del banale, in realtà temo di essere finito col diventare un profeta inascoltato. Comunque se volete scrivetemi e ditemi il vostro pensiero al riguardo, ne sarò felice…
Andrea Zanfi
Foto: Bubble’s