Il primo metodo classico abruzzese – Cantina Faraone
Di Marco Signori
Gli studi da autodidatta, gli assaggi in lungo e in largo per il nord Italia, le sperimentazioni coi vitigni autoctoni e le pupitres riportate a Giulianova, caricate a due a due sul portapacchi dell’Alfasud. E quella straordinaria passione per le bollicine che non ha mai abbandonato Giovanni Faraone, portandolo a essere il pioniere della spumantizzazione in Abruzzo. Mentre si ascolta il figlio Federico presentare la bottiglia celebrativa dello champenoise abruzzese per eccellenza, se si socchiudono gli occhi, riaffiora un’istantanea in bianco e nero che descrive un’altra epoca. Sono infatti passati quarantun anni da quel 21 maggio 1983, quando l’Istituto sperimentale per la elaiotecnica di Pescara del servizio repressione frodi del ministero dell’Agricoltura rilasciava l’autorizzazione n. 1 alla produzione di metodo classico in regione. Nasceva così lo spumante di Giovanni Faraone, in provincia di Teramo, tra quelle colline da cui siamo abituati a ricevere il pregiato Montepulciano.
Oggi, come allora, è uno spumante ottenuto da uve 100 per cento passerina, alle quali negli anni si sono aggiunte quelle sangiovese per la versione rosé. Giovanni Faraone perde la madre da piccolo, per cui cresce con la sorella maggiore, Lilia, tra Emilia e Toscana. Diplomato geometra, conosce a Bologna la donna che diventerà sua moglie, Paola, con cui fa il viaggio di nozze nello Champagne. Come racconta il figlio Federico – che invece ha studiato per diventare enologo, affrontando esperienze in importanti cantine, a partire dal Friuli, incitato dal padre che si definiva un bianchista, prima di tornare a dedicarsi alla propria –, Giovanni ha sempre trovato una piacevolezza intrinseca nel bere bollicine, abituato com’era a consumare Lambrusco. Rientrato in Abruzzo all’età di quarant’anni, Giovanni imprime una svolta all’azienda che aveva iniziato a imbottigliare solo pochi anni prima, nel 1970, dopo aver imparato a conoscere da vicino le uve bianche e in particolare la passerina, indagandone le qualità e scoprendo la sua propensione alla spumantizzazione.
Acquista e legge libri sulla viticoltura e sull’enologia, come quelli di Tullio De Rosa, che sono ancora conservati in cantina: non smette di studiare, ma sempre da autodidatta. Prima di stabilirsi a Giulianova, torna in Abruzzo ogni due settimane per dare una mano al padre, che aveva avviato l’azienda negli anni trenta con la produzione di vino sfuso. Non ha mai voluto un enologo, racconta il figlio Federico, che è di fatto il primo dell’azienda. Insieme allo storico cantiniere Orazio Lallone, ancora oggi in servizio – un cugino con alle spalle studi agrari –, Giovanni fa le prime prove di spumantizzazione dopo essersi procurato le prime pupitres, poi la macchina per ghiacciare e infine una tappatrice. Scopre presto che la passerina, per caratteristiche analitiche come acidità e pH, si presta a essere spumantizzata. Così, alla tradizionale vinificazione di trebbiano e montepulciano, che dà vita anche al Cerasuolo, l’azienda aggiunge lo spumante. “A papà frullavano in testa mille idee, quindi creò vari prodotti”, ricorda Federico. “Negli anni novanta siamo stati pionieri anche nella produzione di vino liquoroso. L’apice della produzione di spumante l’abbiamo raggiunto tra la fine degli anni ottanta e la metà dei novanta, con circa ventimila bottiglie.
Quella con la capsula dorata faceva tre anni di affinamento, quella con la nera cinque anni. Producevamo magnum e doppie magnum in cassette in legno; insomma, una vasta gamma. Era una tipologia di prodotto che era appena nato in Franciacorta, quindi in Abruzzo non era molto richiesto; c’era però un forte sviluppo industriale e molte aziende si rivolgevano a noi per i regali natalizi. Oggi il tessuto industriale si è impoverito, ma è cresciuta la cultura enologica”, riflette infine Federico. In effetti, si è verificata un’interruzione, all’inizio degli anni Duemila, un po’ per l’impegno che richiede la metodologia di vinificazione e un po’ perché ci si stava concentrando sui vini tradizionali. È stata poi l’esplosione del mercato delle bollicine a indurre l’azienda a riprendere, nel 2010, la produzione dello spumante, che oggi si attesta sulle cinquemila bottiglie; a queste se ne aggiungono altrettante di rosato, iniziato come esperimento e inserito in modo definitivo nel 2017.
La produzione è in ogni caso intermittente: “Benché la passerina si presti, dobbiamo comunque fare i conti con il cambiamento climatico e non tutte le annate sono buone per un metodo classico, che infatti produciamo solo quando riusciamo a mantenere una buona acidità”, spiega Federico. È lui che oggi porta avanti l’azienda con la moglie Mariangela e con l’aiuto a distanza del fratello Alfonso, che si occupa di marketing da Bruxelles, dove vive. Se all’inizio poteva sembrare un azzardo, la storia ha dato ragione a Giovanni Faraone. I suoi spumanti metodo classico oggi sono diffusissimi in Abruzzo e in Italia, dove ne viene venduto circa l’80 per cento, lasciando una piccola parte all’export. Etichetta nera e capsula dorata, millesimo 2019 di uve passerina – o trebbiano teramano – rifermentate in bottiglia pas dosé, produzione numerata fino a seicento esemplari: tutto per celebrare, oggi, i primi quarant’anni di spumantizzazione con metodo classico di Faraone Vini.