L’Enologo

Di Renato De Bartoli

Il vino è sempre stato ovunque intorno a me; il protagonista della mia esistenza, il mio compagno di viaggio, l’amico con cui dividere il mio parco giochi: la cantina. Era il protagonista della quotidianità di casa De Bartoli, sempre al centro della vita quotidiana al punto che quando sentivo disquisirne da Marco, mio padre, mi appariva un tema semplice e comprensibile. Crescendo in un contesto simile, non potevo far altro che restarne influenzato tanto da motivare le scelte di vita che hanno indotto a iscrivermi e frequentare l’Istituto tecnico agrario di Marsala con l’indirizzo in viticultura ed enologia. Erano altri tempi, allora bastava il diploma di enotecnico e qualche anno di lavoro in cantina per potersi fregiare del titolo di enologo. Ma l’obiettivo, che pur mi apriva le porte a una professione gratificante, non lo sentivo mio, guardando con distacco e scetticismo chiunque si rapportasse al vino con un insieme di strumenti utili solo per la sintesi e l’analisi da laboratorio. Per me il vino era ed è qualcosa che ha a fare con il gusto, con l’educazione, l’etica, il rispetto, la cultura e la conoscenza a partire dalla biodiversità del territorio e dei vitigni di riferimento. Un mondo nel quale mi è sempre piaciuto entrare in punta di piedi, per comprenderne i valori, le opportunità e l’unicità che racchiude. Mi ha sempre affascinato l’impatto con areali diversi dalle mille variabili, qualcosa che mi spingeva a prendere in considerazione ogni singolo elemento, a districarmi per rendere grande il vino che avrei fatto e trovare soddisfazione nel mio lavoro di enologo. Come è facile intuire, questo mestiere ha molti interpreti che offrono altrettante sfaccettature del loro fare che può sfociare in interpretazioni filosofiche del vino, in assiomi inconfutabili, in egocentrismi paradossali, in narcisismi tali da condizionare persino il loro stile di vita con deviazioni demagogiche. Non so se anch’io sia integrabile in una di queste situazioni, sta di fatto comunque che non sono stato esente da errori in occasioni di confronto con sistemi produttivi nei quali dovevo utilizzare la tecnica, la tecnologia e la biotecnologia per fare cose interessanti. Ma avevo chiaro quale fosse l’aspetto più autentico del mio lavoro e appena mi è stato possibile ho utilizzato il mio bagaglio formativo e il mio background professionale per accettare la sfida di non utilizzo dell’enologia che avevo imparato, per lavorare invece in modo rigoroso con la vite e i suoi frutti in modo da evitare qualsiasi intervento enologico in cantina. La conoscenza delle più importanti aree vitivinicole del mondo mi ha aiutato molto, poiché di ritorno da ogni viaggio mi sentivo più ricco del sapere altrui trovando poi il modo di sperimentare ciò che avevo appreso. È stato così con il Grillo, varietà poliedrica e versatile, con il quale ho trovato riscontro alle informazioni acquisite in quei viaggi, sperimentando, in positivo, l’influenza delle vinificazioni in legno, sperimentazione che è continuata nella produzione del Metodo Classico Terzavia, così come la curiosità verso il mondo del vino cosiddetto “naturale”, mi ha spinto a vinificazioni integrali fino alla nascita dei vini Integer. Tutte sfide vinte. Ma ve ne sono altre come quella sull’Etna, a misurarmi con una vigna pluriottantenne ad alberello su terrazze in zona nord in area Passopisciaro a circa 750 metri sul livello del mare; o come quella che da tempo mi frulla nella mente, di lavorare su quei vini di carattere ossidativo che affondano nelle mie radici, rispecchiando la storia del territorio di Marsala e quella della Cantina Marco De Bartoli.