Ma dove stiamo andando?
Di Andrea Zanfi
Mi accorgo che pensare al settore della ristorazione come al tempio in cui l’elemento principale è il cibo, inteso come materia prima, oggi sia un po’ riduttivo. Le cose stanno cambiando e quella tradizione che si integrava con la storia della cucina territoriale sembra essersi smarrita.
Oggi non si ha mai la certezza di cosa ci attenda oltrepassando la porta di un ristorante. Tutto è mutevole, e anche i luoghi che sembravano essere sacri sono stati profanati da una gastronomia architettonica, scomposta, rivisitata, interpretativa, originale, microbiotica, macrobiotica e vegana, biologica, etnica e vegetale, che a sua volta è presentata da strani soggetti che cercano di valorizzarne i contenuti attraverso le proprie fantasie.
Ecco che unire spezie (o loro miscele) come ajowan, issopo, macis, berberé o sommacco a carni di ogni tipo, insetti, frutti esotici, fiori e pistilli di campo o verdure asiatiche e amazzoniche è diventata un’Arte e, come tale, sarebbe forse più adatta a essere quotata in mega gallerie d’arte moderna come la Gagosian o la Hauser & Wirth.
È ormai ovvio che l’eccessivo parlarne e la visione di certe trasmissioni, in cui divinità stellate, dopo aver fatto pubblicità a detersivi e a chewing gum, offrono la “propria parola” come opinion leader su cosa sia vero, giusto o falso, abbiano stimolato percorsi culturali pericolosi, creando così miti e scuole di pensiero alquanto discutibili e distanti dalla realtà.
Sono molti ormai a essere convinti che questi personaggi non facciano del bene alla ristorazione italiana e che servano solo al sistema economico che li sorregge. Per parte mia, credo invece che ci sia spazio per tutti, come credo che questa ristorazione sia accreditata in modo abnorme rispetto al suo valore reale: infatti, i ristoranti stellati sono solo lo 0,1 per cento e non rappresentano neanche un esempio intelligente da seguire, poiché sono rarissimi quelli che funzionano dal punto di vista economico.
Devo però ammettere che, come influencer, costoro danno segnali che potrebbero spingere certi ristoratori a prendere una china pericolosa, cioè una linea lontana da quella che ha condotto la cucina italiana a essere ancora, nel 2023, la più apprezzata al mondo, trainandosi dietro le eccellenze agroalimentari nazionali che in assoluto sono le più imitate, al punto da incidere per 100 miliardi di euro annui. Personalmente, è una preoccupazione giustificata anche dal fatto che sempre più ristoranti e trattorie non hanno in carta carni italiane, o arrivano a storpiare piatti tipici, servendo magari una trippa, tagliata alla julienne, adagiata su una purea di fagiolini cannellini con sopra cipolle glassate. Il risultato? Che oggi dalle cucine esce di tutto e il contrario di tutto, e il “famolo strano” o il rivisitato vanno di moda. Per parte mia, vorrei che gli stellati facessero gli stellati e le osterie continuassero a essere il punto di riferimento della ristorazione d’origine.
La mia speranza è che rimanga l’opportunità d’entrare in un luogo speciale, capace di trasportarti in un mondo capace di far affiorare emozioni ed evocare ricordi. Spererei di continuare a trovarmi al cospetto di quei rifugi che rappresentano la sana e genuina cucina dei campanili d’Italia: una cucina che, pur cambiando pelle, non accenna a sminuire il ruolo, il fascino e il valore sociale e culturale del territorio in cui è proposta. Fra le mille figure che vi operano e si propongono con diversi vestiti e molteplici idee, questi luoghi sono ancora, infatti, sani rifugi dove si “spaccia” una cucina chiara e intellettualmente pulita, lontana da chi interpreta una proposta gastronomica in modo troppo complesso e ricco di linguaggi astrusi.
Amo gli osti, i trattori e quelle figure spesso anonime e sconosciute che operano silenziosamente in ambienti dove giocano il loro saper fare, puntando su ritmi slow, semplici e mai banali, provando a soddisfare – anzi, a rendere felici – lo spirito e il palato dei loro tantissimi avventori. Sono gli attori di quelle nobili osterie d’Italia che ci sorprendono sempre per la fedeltà nei confronti del loro stile e non cambiano tanto per cambiare, dandoci certezze tutte le volte che vi torniamo. Sono luoghi di un valore enorme e questo si assapora non tanto per l’abbondanza della proposta offerta, ma perché ci rassereniamo non dubitando mai della cucina, connotata da riconoscibilità e genuinità costante. Ma sono molto di più: sono centri d’informazione turistica, sportelli didattici per conoscere il territorio, memoria gustativa per celebrare la sacralità della tradizione.