«La vita è una caduta orizzontale» dice Jean Cocteau, principe di quell’eclettismo artistico che l’ha visto protagonista, a Parigi, nel fervore creativo di inizio Novecento, in ogni forma espressiva, dalla moda alla poesia, dalla pittura alla boxe, dalla pubblicità al teatro, dalla musica di Stravinskij alle chitarre di Picasso. È vero che questa caduta è fatta di ingressi in tunnel oscuri, ritorni nel Medioevo e rinascite, giacché fortunatamente l’oscurità offre sempre fessure alla luce che alla fine divampa in una girandola di bellezza.
La moda ne è un esempio pregnante, grazie alle sue potenzialità di arte applicata alla vita sociale, di gusto trainante del bello, di rimasticamento delle precedenti tendenze, restituzione riassimilata e riassemblata delle forme che hanno prevalso attraverso le epoche. Il Rinascimento, nuovo o vecchio, viene sempre dopo un periodo di resistenza all’oscurantismo, è una luce che si espande attraverso l’intelligenza e l’estetica in grado di modificare il costume di un periodo storico segnandone l’evoluzione.
La si pensa frivola, frutto delle variazioni climatiche di alcune menti che, puntando al gusto del superfluo, stabiliscono correnti cui il gregge umano si adegua nel tentativo di inseguire uno stile comunque guidato da alcune élite. La si ritiene un business e lo è, ma come tutti i business ben riusciti è Cultura maiuscola. Si pensa al glamour come a un’attività da riviste patinate per far sognare vite altrui per interposta fotografia a casalinghe di Voghera, lo si crede imitazione di uno status attraverso la costruzione di un’immagine di sé tracciata sulla punta di una piramide il cui vertice è irraggiungibile, lo si considera sinonimo di superficialità.
Eppure glamour deriva da grimoire , la grammatica esoterica che gli conferisce il significato etimologico di “magia, incantesimo”.
E se fashion è un termine inglese che ultimamente sostituisce “moda”, va rammentato che deriva dal francese façon «modo», e dal latino factio -onis, nel significato generico di “modo di fare”, riconducibile a facere, “fare”, proprio come “poesia” deriva dal latino poesis, che è dal greco ποίησις: “creare, fare”. Il filo rosso che lega la magia alla creatività attraverso la poesia confluisce nella quintessenza della frivolezza chiamata moda, un’arte in cui le arti e la politica e l’economia si intrecciano in una trama tutt’altro che futile.
«L’abito fa il monaco» scrive Charles Baudelaire, e aggiunge altrove a proposito della moda maschile della sua epoca: «Notate che l’abito nero e la redingote hanno non solo la loro bellezza politica, che è l’espressione dell’uguaglianza universale, ma anche la loro bellezza poetica, che è l’espressione dell’anima pubblica; un’immensa sfilata di becchini, becchini politici, becchini innamorati, becchini borghesi. Noi tutti celebriamo qualche seppellimento».
Il dandy è maestro nell’intuire il mood, termine inglese che tradurremo “umore”, corrispondente allo stato d’animo, nel nostro caso all’habitat emotivo di una tendenza di abbigliamento. La “tavola delle emozioni”, il moodboard, è uno strumento usato dagli stilisti per meglio definire i parametri da rispettare in fase di progettazione. È la rappresentazione visiva di parole, immagini, materiali, tessuti accostati per tracciare la “mappa d’ispirazione” per una nuova collezione di moda. Qui possiamo ammirare alcuni moodboard realizzati da Nicolò Turri su istruzioni della stilista milanese Barbara Anna Corradini, accorpamenti d’immagini che esprimono nel loro anacronismo le dirompenti potenzialità connettive capaci di trasformare il passato in un’area sperimentale. «L’abbigliamento è sempre sperimentazione, è guardare oltre. Anche quando qualcosa è rivisitato, lo è sempre in chiave moderna. Si ricerca sempre un nesso tra quello che sta succedendo ma soprattutto un pensiero su ciò che accadrà, per questo la moda non sta bene nei musei», spiega la stilista creatrice delle divise femminili dell’AGSM, passo innovativo nell’interazione tra il personale dell’agenzia di servizi municipalizzati di Verona e il suo pubblico.
«La moda ha senso nel momento in cui diventa simbolo di quello che diventerà la società – spiega Corradini –. Ed è in armonia con l’idea di un Nuovo Rinascimento perché la sperimentazione ne è la base. Tutto ciò che è stagnante non porta a niente. Nella moda non c’è niente di stagnante.
Il Rinascimento italiano è stato un momento politicamente ed economicamente favorevole che ha creato il benessere necessario alla sperimentazione. Un nuovo Rinascimento è da lì che deve passare. La ricerca del nuovo è negli accostamenti di classico e avveniristico. È sugli accessori, le zip ipertecnologiche, i tessuti iperleggeri, che non si stropicciano, li tieni in una mano, pesano dieci grammi, li metti in valigia e poi li tiri fuori, traspiranti, antiodore, ecologici, ottenuti dalle bucce delle arance, dagli scarti del caffè, fibre nuove con qualità tecniche straordinarie che vengono da un riciclo. Il riciclo è il passato che diventa futuro».
Non per niente “moda” e “moderno” condividono l’etimologia.