di Fabio Piccoli
“Faccio solo 20.000 bottiglie, sono un piccolo artigiano del vino”.
Ma basta veramente produrre poche bottiglie per accreditarsi come artigiano?
Io dico di no, e anzi aggiungo, non tanto provocatoriamente, che ci sono alcuni “piccoli” produttori che si dichiarano artigiani ma sono più “industriali” di certi “grandi” produttori.
Come pure ci sono alcuni produttori che pur avendo dimensioni rilevanti (non parliamo ovviamente di milioni di bottiglie) si possono ritenere degli artigiani. Insomma l’artigianalità, quella autentica, non dipende solo dalla dimensione anche perché se così fosse potremmo affermare che quasi il 90 per cento dei produttori di vino italiani sono artigiani e tutti sappiamo che non è così.
Sono tante le definizioni, anche nei vari vocabolari, che definiscono la figura dell’artigiano. Il vocabolario Treccani, ad esempio, lo descrive come colui “che esercita un’attività (anche artistica) per la produzione (o anche riparazione) di beni, tramite il lavoro manuale proprio e di un numero limitato di lavoranti, senza lavorazione in serie”.
È interessante notare che non c’è un riferimento preciso alla produzione (della serie se fai più di 100.000 pezzi non sei più un artigiano) e invece c’è un chiaro riferimento alla “manualità”. Si evidenzia inoltre il non fare lavorazioni in serie.
Ma aldilà delle definizioni quando possiamo realmente considerare un produttore di vino un artigiano?
A mio parere ci sono alcuni fattori determinanti che legittimano questo appellativo e provo di seguito a elencarli.
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1. Innanzitutto una coerenza produttiva legata alla vocazionalità autentica del terroir produttivo, delle caratteristiche autentiche dei vitigni utilizzati, della personalità autentica del produttore. Significa che se un produttore continua a modificare il suo modello produttivo inseguendo le tendenze del mercato a prescindere dalla vera anima del suo territorio a mio parere non si può definire un artigiano. E sono molti a seguire questa strada.
Basta pensare alla crescita costante del numero di etichette per azienda che fino ad una ventina di anni fa erano cinque e oggi, nella media, è quasi triplicata. Significa che sono in molti, anche tra chi si dichiara artigiano, a inseguire qualsiasi onda di mercato né più ne meno (ovviamente in dimensioni più ridotte) di quanto fanno grandi industriali o grandi cooperative. - 2. La manualità è un requisito importante che non significa che la tecnologia non deve entrare in azienda ma è indubbio che, per esempio, una realtà che utilizza macchine per la gestione del vigneto o per la vendemmia perde gran parte dei requisiti dell’artigiano autentico.
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3. Avere la filiera completa, cioè gestire direttamente la filiera dalla vigna alla cantina. Un produttore che gestisce la vigna e poi la vinificazione gli viene fatta da un’altra realtà non può definirsi artigiano anche se produce solo mille bottiglie.
Come pure, viceversa, un produttore che trasforma uve di altri o utilizza basi di altri non si può ritenere un vero artigiano. -
4. Deve occuparsi a tempo pieno dell’attività produttiva e di trasformazione. Sono tanti i “produttori” che si definiscono anche “artigiani” ma che in realtà sono avvocati, industriali, manager di altri settori che si fanno fare il vino da dipendenti nelle loro belle cantine che visitano nei week end.
Sembra scontato che anche questa categoria non può rientrare nell’alveo degli artigiani.
Spunti su cui riflettere
L’elenco in realtà potrebbe anche continuare perché sono parecchie le “sfumature” che possono spostare un produttore verso l’artigianalità o verso l’industrialità, ma mi fermo qui perché penso ci siano abbastanza spunti su cui riflettere.
Vorrei, però, prima di concludere, fare una, a mio parere fondamentale, precisazione per evitare di essere frainteso: l’essere artigiano non significa certificare in automatico che tu sia un bravo produttore, un vignaiolo in grado di garantire eccellenza produttiva.
Non sarà mai un titolo, uno status professionale o aziendale, a certificare il livello qualitativo di un’azienda o di un produttore. Per questa ragione non ha nessun senso l’esaltazione demagogica dei piccoli produttori (artigiani o meno) o la demonizzazione della grande industria o cooperativa. Ma ciò non toglie che se vogliamo dare giudizi oggettivi alla realtà produttive del vino è essenziale che ognuna abbia il titolo che le spetta, in assoluta trasparenza artigiano o industriale che sia.
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