Più di un film, la vita. Pupi Avati
di Simone Cutri
L’occasione per conversare con il maestro Pupi Avati è offerta dall’iniziativa Ri-Generazioni, del Comune di Beinasco (TO), prima edizione di un festival dedicato alla cultura della provincia e delle aree sub-urbane. Il luogo in cui il regista si racconta generosamente è incantevole: la chiesa sconsacrata Santa Croce, uno dei rarissimi casi che vedono una riqualificazione architettonica mettere tutti d’accordo. L’atmosfera è intima, il pubblico silenzioso e attento, catturato dai resoconti di una vita intensa che sembra il frutto di una sceneggiatura sorprendente.
«Croce e delizia della provincia da dove vengo e da dove sono partito. La bellezza della campagna, delle tradizioni contadine, i racconti dei nonni, il tempo regolato dalle stagioni, la morte che è un aspetto della vita…»
Da alcune leggende contadine appunto, talvolta macabre come quella del “prete donna”, Pupi Avati trae spunto e firma alcuni capolavori horror, genere che ha saputo trattare con maestria, mostrando una provincia s-provincializzata che ha dato luogo a quello che i critici hanno definito il gotico padano. L’Arcano Incantatore, Zeder, il più recente Il Signor Diavolo e soprattutto il cult con Lino Capolicchio La Casa dalle Finestre che Ridono, del 1976.
«e poi la spietatezza della piccola città, Bologna, gli amici del Bar Margherita, le giornate trascorse a guardare le ragazze, a cercare di avere un contatto con loro. Ricordo ancora precisamente i loro nomi e cognomi e soprattutto gli indirizzi esatti, via e numero civico!».
E il pubblico ride di questa abilità comprovata, prima di restare senza fiato per le capacità affabulatorie del regista che racconta il corteggiamento, le astuzie, le peripezie compiute per conquistare la giovane e bellissima ragazza che è oggi è ancora sua moglie.
«Riaccompagnandola a casa, avevo guidato pianissimo ma non mi veniva in mente nulla che potessi dirle. Alla fine quando è scesa dalla macchina, pur di farmi dare un bacio, mi sono inventato che fosse il mio compleanno. Beh, non ci siamo più separati».
Poi gli anni della jazz band e della vita da musicista, prima di scoprire che non fosse la sua arte d’elezione quando un giovane Lucio Dalla prese il suo posto.
«Lucio, e lo ha dimostrato, aveva molto più talento di me. Una volta inventò che a Barcellona avrei voluto ucciderlo spingendolo di sotto dalla Sagrada Familía, per invidia. L’abbiamo raccontata così tante volte da farla sembrare una cosa vera».
Dopo la delusione della musica, gli anni peggiori, quelli come rappresentante di surgelati e poi uno strano incontro con un imprecisato Mister X che finanzia i due primi acerbi film della sua carriera.
«Con i soldi di Mister X, io e gli amici del Bar Margherita abbiamo chiamato le maestranze romane del cinema. Io, da regista, sapevo solo di dover dire, a un certo punto, azione!»
Due film non fortunatissimi che costano ad Avati l’umiliazione decisiva:
«Dopo l’insuccesso dei due primi film non potevo più farmi vedere dagli amici e così cambiai bar. Un giorno mi dicono che c’è una telefonata per me, che mi sta cercando il dottor De Laurentiis da Roma, il famoso produttore. Vado alla cornetta e l’unica cosa che sento è una pernacchia gigante. Chiuso con Bologna, siamo scappati a Roma. Con mio fratello continuavamo a scrivere sceneggiature, decisi a fare cinema, fino all’episodio che mi ha cambiato la vita: Ugo Tognazzi legge per caso, per un errore della colf che sbaglia a preparargli le valigie, un mio copione destinato a Paolo Villaggio, si innamora del mio film e lo vuole fare, gratis. Quando mi ha telefonato pensavo fosse un altro scherzo e invece… è stato il vero inizio della mia carriera da regista».
Carriera che prosegue e che non è riassumibile, per quantità e qualità dei film né per il gran numero di attori lanciati o riscoperti, outsider come lui, premiati dal grande intuito del maestro: da Mariangela Melato a Carlo delle Piane, da Diego Abatantuono a Massimo Boldi in ruoli drammatici fino a Katia Ricciarelli, dalla lirica al David di Donatello per La Seconda Notte di Nozze.