Con Riccardo Illy abbiamo in comune, seppur sviluppato in settori diversi, un percorso imprenditoriale simile. Proprio quest’ultimo ci ha consentito negli anni ’80, a un corso sulla valorizzazione del Made in Italy tenuto da Guido Carli, di incontrarci e conoscerci. Già fin da allora Riccardo viveva immerso nel mondo del caffè, grande passione del padre insieme alla scienza e alla musica. Ed è dal padre, dai suoi racconti di viaggio, dalla sua narrazione affascinante dell’universo multiforme dei produttori di caffè, dalla sua visionaria applicazione dell’innovazione tecnologica a questo settore, che Riccardo ha imparato tutto di questo singolare mondo.
Ma è soprattutto l’azienda a dargli l’imprinting che lo avrebbe trasformato in un grande imprenditore: «Da bambini andavamo tutti sabati a lavorare qualche ora in quella che allora chiamavamo “la fabbrica”: è lì che abbiamo iniziato a guadagnarci i primi soldini; è lì che ci siamo abituati al profumo del caffè; è li che, da ragazzi, abbiamo cominciato a distinguere i diversi aromi».
Nonostante l’intensità di queste esperienze, a Riccardo questa vita tutta concentrata sul caffè va stretta. Sente il bisogno di aprirsi al mondo e di farlo senza il supporto della famiglia da cui proviene: «A 19 anni decisi di sposarmi, lasciando la famiglia e facendo svariati mestieri: dal facchino all’impiegato, dal maestro di sci all’istruttore di vela. E non ne sono affatto pentito. È lì, in questo terreno decisamente meno protetto di quanto accaduto fino a quel momento, che ho imparato a prendere in mano le situazioni, cercando di orientarle a modo mio e assumendomene la responsabilità in prima persona. Furono quattro anni intensi, una sorta di palestra destinata a consolidarmi il carattere e a consentirmi di entrare a 22 anni nell’azienda di famiglia con la voglia di giocare al meglio le mie carte. E per farlo decisi di partire dal basso, nel settore commerciale, facendo da assistente al capo-area, allora chiamato “ispettore alle vendite”. Passai così gradualmente da un ruolo all’altro fino a diventare Amministratore Delegato, lungo i quindici anni in cui la società vide il suo volume di affari quintuplicarsi». Non di solo caffè però – ovviamente – si viveva in casa Illy. Tra le grandi passioni di suo padre, infatti, c’erano anche il tè, il cioccolato e soprattutto il vino. Così, se ogni giorno la colazione si faceva con il tè, prodotto con il marchio Illy tra la metà degli anni ’60 e gli anni ’80, a fine pasto invece si mangiava anche un quadratino di cioccolato, di cui in famiglia si era ghiotti non solo per la sua bontà, ma anche perché rappresentava un ricordo del nonno Francesco che, nei primi anni di attività dell’azienda, si era dedicato alla produzione di questa leccornia. E anche il vino, per Riccardo, divenne ben presto oggetto di interesse: «Fu mio padre – racconta – a trasmettermi l’amore per il frutto della vite e, in particolare per i grandi vini del Collio e dei Colli Friulani, di cui fin da ragazzo cominciai ad apprezzare profumi e aromi. Quella col vino però si sarebbe rivelata come una storia appassionante, oltre che declinata in molteplici forme».
«Un ruolo centrale in questa storia – continua Riccardo – lo ebbe certamente l’amicizia nata con Gino Veronelli. Fu veramente una fortuna potersi confrontare sul presente e sul futuro di questa straordinaria bevanda con quello che a buon diritto è ritenuto il padre dell’enologia italiana di qualità e con i produttori che facevano parte del suo Seminario Permanente. Così come rappresentò una grande opportunità imparare prima a degustare e poi a produrre grandi vini da un maestro dell’enologia come Giorgio Grai. È in questo contesto di confronti a tutto campo che, come famiglia, decidemmo di sviluppare un progetto anche in ambito enologico. E dico come famiglia per una ragione molto precisa: solo un’impresa famigliare, capace di andare oltre i risultati trimestrali che condizionano fortemente le realtà che operano in borsa, può investire seriamente in un mondo come quello vitivinicolo di alta qualità, i cui risultati richiedono tempi lunghi».
Ecco dunque prendere forma in questo specifico ambito un complesso progetto enoturistico al momento incentrato, non senza continuare a esplorare con attenzione anche l’eventualità di investimenti nelle Langhe, sul Brunello di Montalcino: «Fu mio fratello Francesco – racconta Riccardo – a comprare a Montalcino il podere Le Ripi. Poi come spesso capita, da cosa nasce cosa: il passaggio successivo fu acquisire come famiglia la tenuta Mastrojanni, pensando a un suo rilancio in chiave autenticamente imprenditoriale. Di qui la realizzazione, insieme a un resort con 11 camere e un ristorante attorniato da ormai oltre 40 ettari di vigneto, di una nuova cantina con vasche in cemento controllate da sensori e computer. Il tutto per dar vita a un Brunello corposo e scattante, capace a breve di diventare l’emblema di un marchio destinato a giocare un suo ruolo direttamente in Borsa».
Al momento non è dato di sapere se questo progetto, magari su tempi lunghi, preveda anche una produzione di bollicine. In ogni caso quello dell’effervescenza è un mondo che affascina Riccardo: «Da sempre in casa, per festeggiare le grandi occasioni, siamo soliti stappare una bottiglia di Champagne. Solo nelle grandi occasioni però, visto che per mio padre a rappresentare il top del vino erano i grandi bianchi fermi. Poi, grazie a Maurizio Zanella e Matteo Lunelli, ho scoperto i migliori spumanti italiani. Così anche questi ultimi, insieme ai grandi rossi e ai bianchi fermi, sono entrati a far parte dei vini che mi piace degustare. Del resto le bollicine italiane hanno ormai fatto passi da gigante e stiamo rapidamente avvicinandoci al momento in cui non avranno più nulla da invidiare alle produzioni dei cugini francesi. A loro piuttosto dovremmo ispirarci per concentrare la produzione di spumanti nelle zone veramente vocate, evitando, come accade ora, di produrle ovunque».
Non si può però parlare di Riccardo, senza almeno accennare alla sua carriera politica: due mandati da Sindaco di Trieste, uno da Parlamentare e uno da Governatore del Friuli-Venezia Giulia. In questa veste ha finanziato una legge preesistente, concretizzandola in un Premio per l’Innovazione delle imprese più dinamiche e nella fiera InnovAction, rivolta a tutti i cittadini e imprese con lo scopo di creare una diffusa cultura dell’innovazione. La stessa innovazione sulla quale come imprenditore ha saputo puntare tutto, dando vita con la sua famiglia a un gruppo capace gestire con successo, oltre alla Illy (caffè) realtà come Domori (cioccolato), Dammann Freres (tè) e Mastrojanni (vini). Ed è di questo successo che Riccardo ci svela il segreto: «Il più grande pericolo è pensare di essere bravi perché si ha avuto successo una volta; le posizioni di potere inducono infatti a una sorta di “sindrome da onnipotenza”, che porta all’autodistruzione. Occorre invece, con molta umiltà, riconoscere che per almeno metà dei risultati acquisiti bisogna ringraziare la buona sorte».